Riportiamo l’interessante articolo a firma di Luca Mascia pubblicato sul quotidiano L’Unione Sarda di Giovedì 13 Luglio 2017.
Asse tra Parlamento e industriali per lanciare il made in Italy sui mercati esteri.
Un marchio unico made in Italy per conquistare i mercati esteri e allontanare la minaccia della Cina. Parlamento e
industriali questa volta sembrano essere d’accordo: il progetto per rendere obbligatoria e visibile ai consumatori la
certificazione di origine dei pomodori da industria e dei loro derivati (polpe, passate, concentrati e sughi pronti) presto sarà realtà e coinvolgerà anche la Sardegna e lo stabilimento Casar, capace di lavorare 370 mila quintali di pomodoro 100% sardo.
SODDISFAZIONE «Ben venga la nuova etichetta, sarà un vantaggio per noi e per il consumatore – commenta Pierluigi Milia, responsabile commerciale Casar – da 17 anni abbiamo scelto di utilizzare solo materie prime sarde e i nostri prodotti hanno successo proprio perché locali. Valorizzarne la provenienza sarebbe perciò un ulteriore valore aggiunto sui mercati esteri».
BOLLINO Il bollino di qualità tricolore porterebbe quindi a un salto di qualità internazionale. Un’espansione del bacino commerciale al quale il gruppo di Serramanna sta lavorando. «Raccogliamo pomodori da circa 380 ettari, ma saremo pronti a raddoppiarli – ammette Milia – per consolidare la nostra presenza in Gran Bretagna, Stati Uniti ed Emirati Arabi, e per sbarcare su nuovi mercati».
OBIETTIVI Tra gli obiettivi condivisi da coltivatori, industriali e istituzioni c’è anche la necessità di spazzare via le accuse che hanno messo in dubbio negli ultimi anni la qualità della filiera italiana. «Chi grida all’invasione dalla Cina di tonnellate di concentrato sugli scaffali dei nostri supermercati – spiega Milia – non conosce la realtà. Dall’Asia arriva solo una minima parte di prodotto concentrato che viene trasformato e spedito subito fuori dall’Italia».
LA CINA I dati diffusi dall’Anicav, l’Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali, confermerebbero
l’assenza di pomodoro cinese sulle nostre tavole: le leggi impongono infatti che pomodori e derivati possano essere
prodotti solo da materie prime fresche lavorate in azienda entro 24/36 ore dalla raccolta. Sarebbe impossibile oltre che antieconomico utilizzare prodotti cinesi.
L’ARGINE «Al fine di porre un argine alle speculazioni e alle polemiche degli ultimi anni – dice il direttore dell’Anicav
Giovanni De Angelis – l’industria di trasformazione del pomodoro è favorevole ad estendere l’obbligo di indicazione in etichetta dell’origine della materia prima a tutti i derivati per garantire al consumatore la massima trasparenza sul Paese o l’area dove il pomodoro viene coltivato e trasformato, come già avviene per la passata prodotta in Italia».